27 marzo 2012

Pierrot le fou di Jean-Luc Godard(*): Lo spettro (parte prima) 2/5


2. LO SPETTRO
 
Il cinema rispecchiando la realtà,  o meglio restituendoci un fantasma del materiale “astratto” dal reale, permette di vedere l’invisibile, il quotidiano che il nostro sguardo non sopporterebbe, e che soltanto “il lucido scudo di Atena” può restituirci per decapitare l’orribile testa della Medusa. Sembrerebbe un atto di sapere. Perseo sa che per sconfiggere Medusa deve decapitarla, quindi lo spettatore potrebbe sopportare l’orribile visione soltanto attraverso il lucido scudo di Atena, lo schermo cinematografico, per decapitare la testa mostruosa, per “sapere”. Kracauer stesso ci dice però che nel  «[…] mito stesso la decapitazione  di Atena non significa ancora la fine del suo regno. Ci dicono che Atena fissò la terribile testa sul suo scudo per gettare il terrore tra i nemici. Perseo, che ne aveva vista l’immagine, non riuscì a distruggerne completamente lo spettro»(2).
 Lo spettro dunque. Attraversa le immagini concatenandole l’una all’altra, creando rapporti di associazione; coordina, forma, crea il contesto, dà corpo ad una situazione in cui l’elemento si inserisce interagendo con e nella situazione, sì da dare l’impressione di un meccanismo che si muove da solo, dove tutto accade precisamente adesso, “presentificato” per lo spettatore, dallo spettatore. Allora il significato diviene l’accadimento accaduto (le leggi della narrazione che sono al passato) e accadente (il presente dell’immagine che dà l’illusione di realtà, ci trasporta “dentro” il film, ci dice: “tu stai vivendo questa storia”).
L’invisibile che scorre da un’immagine all’altra è il collante di immagini e significato. Illude di incollare pezzi diversi, frammenti anche microscopici; illude la nostra credenza in un “tutto” dove c’è posto per le nostre storie i nostri sogni la nostra verità. Ma Godard non può ancora liberare il referente dal suo spettro; può invece utilizzare la citazione che non è un referente qualsiasi, ma un testo con un suo mondo, un suo contesto, sempre uguale a se stesso e sempre differente. Con la citazione la trasparenza vacilla. Il blu di Picasso è sempre diverso, vaga nel contesto. Non posso sostituire il blu di Picasso del volto di Pierrot con il quadro Jacqueline coi fiori inquadrato mentre Ferdinand viene torturato (sentiamo le grida e vediamo Jacqueline) o almeno se posso farlo (il colore che scorre lungo la trasversale di tutti i sensi) devo accettare una trasformazione nel valore della verità, ossia devo accettare che la verità non sia il risultato a cui tendono i referenti e il contesto che li lega nell’invisibile (ricostruito dalla nostra mente); devo accettare che il limite di ogni citazione venga superato nel contesto di altre citazioni, in altri termini che l’opacità del contesto venga misurata dalla potenza del falso. È un legame non concatenato dove non c’è nessuna verità da cercare da qualche parte, che sia presupposto per determinare gli eventi.
Godard cerca di impedire che la verità offuschi la sua ricerca, che il concatenamento azione-reazione, immagine che presuppone un’altra immagine, riporti a galla le leggi classiche della narrazione. Il tradimento, l’amore, la morte sono possibilità che danno potenza al nostro pensiero, ossia contribuiscono alla formazione dell’immagine nella nostra mente, della “nostra” immagine in cui il “nostro” pensiero crea delle aspettative. Si uccide per gelosia, per danaro. Marianne ha usato Ferdinand per i suoi scopi. Fugge in un’isola con il suo amante-fratello con i soldi. Metafora della fuga nei mari assolati dei tropici, ma questo soltanto in un evento dove azione e reazione si compenetrano a vicenda; qui invece domina la distanza, la differenza tra immagini e tra eventi. Domina l’indiscernibile. Immagine di immagine, la citazione diventa potenza al quadrato; non è come nell’azione-reazione dove prevale il divenire orizzontale, un punto che segue un altro punto, una linea che incontra oggetti, situazioni, eventi in uno spazio verticale (i fotogrammi che scorrono e la prospettiva bidimensionale che ci illude delle tre dimensioni). È piuttosto una frattura del mondo che raccoglie tutto questo, che contiene tutte le storie, tutte le prospettive, che contiene il “tutto”, ma che è pur sempre esterna alle nostre aspettative, non è pertinente con le nostre costruzioni mentali se non come smarrimento, consapevolezza di un qualcosa di nuovo che sorge in noi proprio perché fuori dal pensabile. L’isola dove fugge Marianne è appena davanti alle spiagge della Francia del sud; Marianne fugge inspiegabilmente verso lo stesso luogo da dove è fuggita proprio perché non sa più cosa fare. E Ferdinand la uccide allo stesso modo, proprio perché non riesce a trasformare la fuga di Marianne in linguaggio.


(2) S. Kracauer, Ritorno alla realtà fisica (1960), Milano, Il Saggiatore, 1962, p. 435.

(*) Luciano Orlandini, Pierrot le fou di Jean-Luc Godard, in Annali del Dipartimento di Storia delle arti e dello spettacolo, Università Firenze, Anno II, 2001, pp. 141-150.

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