4 maggio 2011

Linea d'ombra-Festival Culture giovani: 3/4 Corto Europa

Nel commentare i cortometraggi ho deciso di riportare la sinossi pubblicata dalla direzione della rassegna sulle schede informative dei cortometraggi, di riportare altresì il mio commento pubblicato “a caldo” sul sito del Festival dopo la visione del corto, il voto assegnato in qualità di giurato-web e infine il mio commento attuale.




Pravidelný odlet (di Tomas Pavlicek, Repubblica ceca 2010)

Un film profondamente motivato su un immotivata amicizia tra due emigranti: Ondrej, ventenne che è ancora confuso dal suo futuro, e Karel, cinquant’anni, anche lui confuso.

Film dinamico, effervescente, con inquadrature e sequenze equilibrate. Montaggio ottimo che ci conduce velocemente all'epilogo. Sceneggiatura di qualità.

Voto: 4 (buono)

Sul momento mi è piaciuto molto e il mio quattro è sembrato forse un po’ penalizzante. Indeciso se dargli cinque, più ripenso al cortometraggio, più mi rendo conto che invece il mio voto è stato un po’ largo. Il film mi è piaciuto naturalmente ma forse avrei voluto vedere altre sequenze con l’auto della polizia che insegue i nostri eroi (metterei in auto anche il ragazzo) intenti a fuggire verso una libertà solo immaginata. Comunque sempre un buon corto soprattutto per la dinamicità delle sequenze e per l’originale amicizia far i due che regala emozioni.


Promíll (di Marteinn Thorsson, Islanda 2010)

Ad Erik piace bere un bicchiere di tanto in tanto. Il giorno dopo una bella festa, seduto con la sua ragazza a chiacchierare, incontra delle persone di cui non si ricorda. Erik è in profonda difficoltà …

Un corto interessante e stimolante per la cura delle originalissime riprese, ma un po' confuso e impreciso. In effetti sembra che il regista non voglia cucire fino in fondo il film: forse anche questa una sua precisa scelta.

Voto 3 (sufficiente)

Dispiace molto aver dato un tre a questo corto (anche se sempre sufficiente), perché in effetti il regista probabilmente voleva, nel girare sequenze di tal genere, provocare nello spettatore un effetto straniante. E infatti la fotografia è ottima e le sequenze inquietanti. Probabilmente siamo in una sorta di sogno e l’intruso dell’epilogo potrebbe confermare o il risveglio del protagonista da un sogno o il perdurare del suo delirio dovuto all’alcolismo. Purtroppo il corto risulta nell’insieme caotico. Per mostrare il “caos” serve una solida struttura che questo corto non possiede anche probabilmente per “mancanza” di tempo; forse un certo tipo di “analisi” dell’alcolismo (con eventuale sconfinamento nella descrizione del delirio) necessiterebbe di uno sviluppo narrativo consistente, altrimenti non si esce dal materiale informe, come informe infatti mi sembra il lavoro in questione. Nonostante ciò sono convinto che Promíll sia soltanto un esperimento, un tentativo di ricerca e analisi che potrebbe aprire il cinema a nuove frontiere. Nel caso specifico sarebbe stato molto emozionante vedere il delirio e l’alcolismo come soggetti puri della ricerca al di là di ogni narrazione attanziale, luogo in cui la disperazione assume nuove forme e regole. Troppa carne al fuoco che ha reso il corto un esperimento fine a se stesso che non regala emozioni.

Sposerò Nichi Vendola (di Andrea Costantino, Italia 2010)

L'Italia di oggi è in constante crisi economica e sociale. Il paese si confronta con la Rete. Beppe Grillo propone un rivoluzionario disegno di legge di iniziativa popolare firmato da 350.000 cittadini italiani. Nel sud Nichi Vendola, un politico dichiaratamente omosessuale, cattolico e comunista, conquista una popolarità inaspettata, mentre la crisi obbliga la famiglia Amoruso a vendere la propria casa.

Ottimo soggetto ma relaizzato con un montaggio scadente e confusionario che non riesce a "legare" il film. Peccato perché ci sono alcuni spunti di valore(ad esempio: la voce fuori campo di Vendola nel sogno della nonna) che da soli non salvano l'opera.

Voto 2 (scarso)

Rivedendolo purtroppo devo confermare il giudizio espresso “a caldo”. Il materiale è notevole e proprio per questo doveva essere trattato con maggiore maestria. Purtroppo sembra tutto così raffazzonato, caotico, slegato. Per volere trattare tanti argomenti finisce col non realizzare niente di interessante. I vari segmenti (famiglia Amoroso costretta a vendere la casa, Bepep Grillo, conquista della regione Puglia da parte di Vendola) non sembrano bene amalgamati. La storia della famiglia (o meglio delle sue donne) sembra indebolirsi lentamente lungo il dipanamento del film fino a svanire soffocata dalle notizie della politica e dal discorso dell’epilogo di Nichi Vendola. Anche in questo caso mi sembra che le tematiche avrebbero avuto bisogno di maggiore “spazio e tempo”.

Thermes, (di Banu Akseki, Francia 2010)

Joachim ha quindici anni. Vince due inviti per un centro benessere e decide di andare con la madre. Entrambi sono proiettati in un rifugio insolito di buona salute, che li spinge in direzioni divergenti. Il dramma eterno della solitudine viene giocato in questo microcosmo acquatico ...

Mi è piaciuto per le sequenze che scivolano lente fino all'epilogo. Bellissima l'inquadratura fissa della madre che si spoglia in un'area nudisti della durata di circa due minuti. Ottima fotografia come l'uso attento e studiato dei colori dominanti (giallo, blu, bianco, nero). Sceneggiatura buona. Bravi interpreti.

Voto 5 (ottimo)

Un modo di fare cinema molto attraente. Emozioni che scaturiscano dagli oggetti, dai colori, dal silenzio delle lunghe sequenze e ovviamente dall’umanità dei personaggi che aleggia nell’iconico, permeando gli oggetti, i luoghi e soprattutto l’acqua. Akseki ha utilizzato magistralmente il colore, soprattutto azzurro e blu scuro che dominano poiché ci troviamo nelle terme e quindi l’acqua è il liquido che inonda e protegge l’angoscia dei protagonisti, un luogo dove tuffarsi e accoccolarsi per proteggersi dall’alito freddo del mondo. Eppure l’acqua (e le tonalità del blu che sconfinano nel nero di alcune sequenze) diventa l’alito gelato che isola ancor più i protagonisti (Joachim e sua madre). L’azzurro delle prime sequenze (la grande piscina che si riflette nelle alte vetrate che separano il luogo dall’esterno, l’idromassaggio che carezza e allieta Joachim e l’occasionale compagna appena conosciuta) lentamente si fa più scuro ricordando quasi un’acqua abissale che nasconde i timori e le angosce dell’anima. Niente può cambiare il loro status, neanche quando attraversano luoghi più “caldi” (la madre che uscendo dallo spogliatoio cammina al fianco delle cabine di un frizzante giallo limone, luogo di pausa prima del tuffo nell’azzurro delle piastrelle). Stupenda la lunghissima sequenza (e trattandosi di un corto acquista maggiore consistenza) in cui la madre entra in un luogo relax frequentato da nudisti ove lei si sente obbligata a spogliarsi; e notevole anche l’epilogo quando Joachim, emergendo dalla notte della piscina, vede stagliarsi sul bordo, immersa nel blu sfocato dello sfondo, sua madre nuda che tenta vanamente di ripararsi dietro la sua borsa a tracolla. Qui le immagini e il colore assecondano magnificamente la disperazione e la noia, l’incubo che si fa reale (nudi in pubblico) poiché le nostre paure più grandi racchiudono il timore di aprire le profondità dei nostri segreti al mondo.


Tre ore (di Annarita Zambrano, Italia, 2010)

Roma, un padre è stato condannato per omicidio e deve spiegare a sua figlia che starà via per un po’…per farlo ha solo 3 ore.

Un film freddo, che sembra montato senza convinzione. Peccato perché il tema è molto interessante e il dialogo padre figlia un'idea brillante. Purtroppo il dialogo tra i due sembra inconsistente, non appassionante, didascalico.

Voto 2 (scarso)

Perché Tre ore non mi e piaciuto? Eppure un padre che sta per andare in carcere e deve spiegare alla figlia che se ne andrà per un po’, potrebbe essere argomento interessante. Non saprei. Forse perché il dialogo è senza pathos, sembra un banale dibattito pubblico con domande e risposte, non c’è l’umanità che soffre, non c’è la famiglia della vittima, né vi sono motivazioni profonde, anzi, il padre riesce pure a fare velate minacce nei confronti del compagno di classe della piccola. Non si capisce chi sia questo padre, personaggio che respinge, butta fuori dal fotogramma ogni tentativo di approfondire il suo status emozionale. Riporto un brano ripreso da un commento di un giurato web che rende bene l’inconsistenza di questo corto: “La bambina si sforza d'esser naturale e appare robotica”. Un film robotico.


Ultima donna (di Tristan Aymon, Svizzera, 2010)

Dr. Bertoz, 80 anni, è rimasto vedovo due anni fa e vive sola nella sua villa borghese. Sua figlia Florence, 50 anni, è una donna attiva, che non ha più tempo per occuparsi di suo padre. Assume una cameriera, Daniela, una giovane di 22 anni, portoghese. Il suo compito è quello di preparare i pasti e occuparsi delle faccende domestiche. In un primo momento, il dottor Bertoz è molto recalcitrante nei confronti di Daniela, ma a poco a poco questa suscita il suo interesse, in particolare grazie alla sua sensibilità per la musica classica. La complicità si sviluppa tra i due personaggi. Florence, visitando regolarmente il padre, osserva l'evoluzione del rapporto e si ingelosisce.

Il film mi ha emozionato. Stupenda anche per me la sequenza del bagno. Sceneggiatura splendida. Interpretazione di ottimo livello.

Voto 4 (buono)

Emozioni, emozioni. Un corto costruito molto bene che analizza il rapporto tra il vecchio e la giovane badante finché tra i due stabilisce un’intesa spirituale, una affinità che va al di là delle differenze di razza, sesso, religione, ceto sociale. Ci sono solo l’uomo e la donna, al di là di ogni convenzione, due anime che riescono a connettersi, a vivere semplici emozioni. Il Dott. Bertoz così non si sente più un vecchio inutile, gestito da sua figlia Florence come un pacco, un oggetto messo lì, seduto, che è quasi più “oggetto” fastidioso che essere umano da proteggere e aiutare soprattutto perché così impone decoro e decenza di una società tollerante. Il Dott. Bertoz pertanto lentamente si riappropria della sua centralità di essere umano ricominciando a sentirsi utile grazie a Daniela, la badante amica, che dona un nuovo tipo di amore al vecchio, un amore che sarebbe riduttivo definire contaminazione tra l’amore della figlia e dell’amante e infatti Daniela non è né la figlia, né l’amante ma è la donna.


Vannliljer I blomst (di Emil Stang Lund, Norvegia, 2010)

Il guru del nuoto sincronizzato, Labanosov, convince le donne in sovrappeso ad unirsi a lui nella sua missione: dimostrare nei campionati, che Isaac Newton si è sbagliato a proposito della gravità.

Corto affascinante e magico. Divertente, originale. Un perla che probabilmente non potrò più vedere

Voto 4 (buono)

Visionario, divertente, affascinante. Il cinema può anche annullare la forza di gravità e trasformare una squadra di obese nuotatrici di nuoto sincronizzato in acrobate volanti. L’acqua stessa della piscina è un fluido celestiale in cui le atlete volano come sospese in un liquido che non porta nell’abisso, ma (come si evince anche dall’inquadratura della nuotatrice dell’incipit che si lascia trascinare a fondo senza opporre resistenza) sembra trascinare in alto,come se il mondo emerso sia situato in basso e tutto l’alto sia un magma liquido in sospensione. L’acqua è un mondo magico in cui la gravità annulla la differenza di peso azzerando la “moda” (nel senso che non conta più l’abito e una certa idea di bellezza femminile imposta), liberando appunto l’essenza intima dell’essere umano, la sua interiore bellezza che va al di là dell’aspetto fisico di un involucro definito “bello” in quanto pertinente a un certo modello fittizio di beltà. Così come la newtoniana legge di gravità perde consistenza davanti alla magia della bellezza dell’anima.


Xie Zi (di Giuseppe Marco Albano, Italia, 2010)

La storia di un uomo e di un bambino (cinese) lontani e divisi dalle proprie differenze sociali e culturali, ma al contempo molto vicini e legati da un destino in comune.

Il film non è male anche se si indebolisce un po' nell'epilogo. Il rapporto tra i due non è stato approfondito e rimane come offuscato da una nebbia che non lascia passare le emozioni.

Voto 3 (sufficiente)

La storia di un uomo e di un ragazzino cinese e del loro non-rapporto non riesce a scaldare l’anima. Il contrasto tra la dura vita del ragazzino che lavora di giorno nel ristorante di famiglia mentre la notte rifinisce scarpe e quella dell’uomo che guarda Bruce Lee alla tv insieme al figlio, non è reso con forza ma si assottiglia in un non-dialogo abbandonato a se stesso, mentre ad esempio avrei visto bene almeno un incontro (magari anche “negativo”) fra i due in una zona “neutrale”, al di là della strada che li divide. L’uomo che gestisce una boutique non sa che le scarpe vendute potrebbero essere le stesse fabbricate dal bambino e pertanto il suo probabile disprezzo potrebbe affievolirsi. Al contrario una “rivelazione” o la casuale scoperta del piccolo intento a lavorare di notte in un capannone per fabbricare scarpe e vestiti (forse gli stessi della boutique gestita dall’uomo?) avrebbe dato maggiore pathos al film. Invece i dieci minuti della durata mi sembrano sprecati, come lasciati scorrere per puntualizzare e rimarcare le stesse note. Ritengo che sarebbero stati sufficienti i primi tre minuti per lo stesso messaggio e in modo da lasciare il resto del tempo nel flusso emozionante di un incontro-scontro nella notte sotto un capannone abbandonato dalla civiltà occidentale ma luogo di lavoro e sofferenza per un’altra civiltà parallela rappresentata dal piccolo cinese Xie Zi.


Zu Hause (di Nenad Mikalacki, Serbia-Germania, 2010)

Una signora anziana va dalla Germania in Serbia per visitare la casa della sua infanzia.

Parallelamente, due ragazzi deportati, tornati in Serbia, cercano di sopravvivere in condizioni di vita totalmente diverse. Le dicono che possono aiutarla a trovare questa casa…

Altro corto girato bene. Sceneggiatura equilibrata, interpreti molto bravi

Voto 4 (buono)

Il ritorno alla propria casa dell’infanzia in un paese abbandonato probabilmente al seguito di genitori che emigrano per lavoro non sempre riesce a suscitare forti emozioni come questo corto in cui l’anziana signora, giunta quasi al traguardo (la propria cara vecchia casa) decide di tornar sui suoi passi. Il passato è una meraviglia del ricordo e soprattutto del ricordo di un’immagine. Volerlo mettere alla prova per assaporare ancora quei magici momenti può comportare grandi rischi tra i quali la presa di coscienza,l’assoluta consapevolezza di avere scoperto finalmente il tempo,di avere capito che questo tempo trasforma e deforma la realtà (rimasta però intatta nella nostra mente) fino a trasfigurarla e a renderla diversa da quella che rammentavamo. O è la nostra mente che decora e rende migliori i ricordi?

Zwischen Rimmel und Erde (di York Fabian Raabe, Germania, Costa d’Avorio, 2010)

Koroballa e Tiemogo sono due fratelli, nati e cresciuti in una borgata della costa D’Avorio. La morte del padre e la mancanza di prospettive future convincono Korballa ad abbandonare il suo paese.

Anche questo si lascia vedere con piacere. Sequenze alternate di grande impatto visivo. Plot che emoziona e lascia riflettere. La sofferenza non è mai completamente mostrata al mondo. Ottimo.

Voto 5 (ottimo)

Molto bello ed emozionante. Il contrasto tra la vita nel clima caldo e accogliente della Costa d’Avorio e il percorso di fuga dalla propria miseria per la ricca Europa lascia l’amaro in bocca. Abbandonare il proprio mondo è come perdere un pezzo di se stessi e il gelo che avvolge i due protagonisti non è solo metafora del mondo che li aspetta (o dovrebbe aspettarli) ma anche della scelta di una speranza troppo grande da sopportare. La speranza di una vita migliore che richiede il più grande sforzo: la perdita del proprio mondo, della famiglia, della donna amata e infine del fratello, compagno di fuga, abbracciato nel gelo di una carlinga di un aereo appeso in un cielo freddo e lontano.

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