20 aprile 2011

Linea d'ombra-Festival Culture giovani: 1/4 Corto Europa

Nel commentare i cortometraggi ho deciso di riportare la sinossi pubblicata dalla direzione della rassegna sulle schede informative di ciascun corto, di riportare altresì il mio commento pubblicato “a caldo” sul sito del Festival dopo la visione, il voto assegnato in qualità di giurato-web e infine il mio commento attuale.


13 ½ (di Haris Vafeiadis, Grecia 2010)

Afrodite ha tredici anni e mezzo, i suoi amici la chiamano Tin-Tin. Afrodite è innamorata di Lou. Afrodite vuole crescere…

Atmosfere e passioni ben delineate ma che rimangono come sospese nello loro ovvietà. Comunque un prodotto ben confezionato: buona la colonna sonora e sufficiente la recitazione.

Voto: 3 (sufficiente)

Il commento a caldo rimane immutato anche dopo alcuni giorni. Il film è di buona fattura ma non è in grado di fare presa, di penetrare a fondo. Le immagini distorte dell’epilogo, quando Tin-tin esce malconcia dall’avventura di sesso con Lou, perdendo la sua verginità nella violenza dell’atto in sé anziché nel desiderio che fa vibrare il corpo e nell’emozione che accelera il battito cardiaco come consapevolezza e scelta precisa, non sono sufficienti a restituire l’angoscia e il dolore che sale dalla pancia bloccando e facendo scomparire la realtà degli amici, dei genitori che stanno ballando durante una cena all’aperto. Lo svenimento vale molto meno di un disperato “giorno dopo”, infatti avrei magari preferito un più scontato “dopo il fatto” che arriva con i brusii e le risatine dei ragazzi e le grida e gli sguardi di occhi diversi se osservati da una ragazzina di tredici anni e mezzo che adesso ha solamente paura di vivere.


Amistad (di Alejandro Marzoa, Spagna 2010)

Amistad è la storia di quattro amici e colleghi di lavoro che si incontrano nello stesso bar, come al solito, per bere un paio di drink e parlare dei loro problemi. La serata sembra divertente, fin quando Alberto non confessa i suoi problemi coniugali. I suoi amici cercano di rincuorarlo, ma dopo un po’ spuntano i problemi. Quello che doveva essere una seduta di terapia tra amici, si trasforma in una confessione, dove il loro cinismo, l'egoismo e l'avidità porta alla scoperta della verità: non sono come amici come pensavano.

Scritto e strutturato molto bene perché in pochi minuti assistiamo allo smascheramento dell'Amicizia che comprende anche i momenti peggiori. Purtroppo somiglia a uno Sketch del sabato sera. Anche per me ottima recitazione.

Voto 3 (sufficiente)

Anche in questo caso confermo il voto perché il film non mi ha convinto in pieno. Gli attori sono molto bravi e riescono da soli ad attrarre l’attenzione, a “raccontare” la loro stessa metamorfosi o meglio a sviscerare il peggio che è in loro. L’amicizia non è soltanto una serata passata a bere e a ridere ma è qualcosa di indefinibile, di impalpabile, un mattone che dovrebbe resistere a ingenti scosse di terremoto, ma qui non regge neppure all’urto di una battuta sufficiente a incrinare l’armonia, anzi da qui inizia un precipizio che conduce alla fondazione di un nuovo status: gli amici sono comuni esseri umani rimasti soli. Però il plot è prevedibile e l’epilogo non poi così esaltante, potrebbe essere inserito in uno di quegli episodi televisivi tipo situation comedy. Non male, anzi buono, ma che non offre niente di nuovo.


Boxer (di Andrei Cumming, Scozia 2010)

In una grigia comunità scozzese, un uomo solo è testimone di una violenza sessuale. Riesce a proteggere la ragazza, e questo gli da una nuova speranza di vita. Boxer è un ritratto inflessibile di isolamento, di rammarico, sulla possibilità di un individuo di mettersi alla prova di nuovo.

Bellissima fotografia e la sequenza del "salvataggio" è essenziale (cercando di evitare luoghi comuni e speculazioni). Per questo ho provato un'intensa emozione. Epilogo che non inganna lo spettatore e non illude. Spesso capita proprio questo. Un grande cortometraggio.

Voto 4 (buono)

Dopo alcuni giorni dalla visione mi sono pentito di avere assegnato un 4. Adesso il mio voto sarebbe un “ottimo” (5). Il film infatti è cresciuto lentamente dentro di me e dopo alcuni giorni dalla visione mi rendo conto che Boxer è un grande cortometraggio. Ogni immagine è una storia a sé, ogni scena è un percorso che ci conduce nei meandri oscuri della conoscenza, là dove lo sguardo dell’uomo va oltre il suo orizzonte. La ragazza salvata, aprendo la porta e trovandosi davanti il boxer fallito, esita un attimo, rimane immobile, incapace di reagire alla sorpresa nel vedere il suo “inutile” salvatore. Perché, mi sono chiesto, quando il boxer se ne va dopo che la ragazza gli ha chiuso la porta in faccia, desidero essere appagato nella speranza di vedere la porta che si apre in lontananza (come in tanti film con happy and) e allo stesso tempo desidero che la porta del cottage rimanga chiusa? La bellezza del film è anche in quel finale che lascia mutare il tempo nel primo piano del boxer che si volta (l’ultima inquadratura del cottage mostra sempre la porta dell’ingresso chiusa). Quel viso stanco e deformato da una vita di stenti e sacrifici (ha avuto una famiglia: si deduce da una foto e forse l’ha persa, chissà) osserva la porta del cottage. Si aprirà? No? Non lo sapremo mai.


Bukowski (di Daan Bakker, Olanda 2010)

Un elegante hotel di Amsterdam ha un ospite molto speciale per una notte: il famoso scrittore Charles Bukowski. Ha dodici anni e il suo vero nome è Tom.

Divertente e spumeggiante ma forse troppo sintetico. Comunque un corto di ottima qualità.

Voto 4 (buono)

Se per Boxer il mio 4 è diventato un 5 (ma troppo tardi) per Bukowski il 4 è un po’ troppo largo. La visione mi ha fulminato e sul momento ammetto che ero più che convinto di dare un 4. Trattasi di un cortometraggio brevissimo (nove minuti scarsi) e per questo forse fulmineo, spumeggiante, divertente, ma in fondo (comunque sempre un buon lavoro) un prodotto che può far sorridere per un attimo ma che non lascia traccia nell’osservatore. Bello ma algido, senza passione. Il ragazzino che dorme in una stanza con la sorellina più piccola, si spaccia con il personale dell’hotel per lo scrittore Charles Bukowski iniziando un gioco divertente e gradevole; inoltre alcune sequenze sono molto intense (vedi l’alternarsi dei primi piani del giovane faccino di Tom e del vecchio volto del Direttore dell’hotel), ma Bukowski rimane un prodotto che non sortisce effetti a lungo termine.


Casus belli (di Yorgos Zois, Grecia, 2010)

Persone di ogni genere, nazionalità, classe, età, in fila per sette. La prima persona in ogni riga diventa l’ultimo dei prossimi, formando una catena umana gigante. Ma alla fine della coda, il conto alla rovescia ha inizio.

Sorprendente e piacevole l'effetto domino di ritorno come l'attenzione alla cura delle "direzioni" delle persone in fila e della loro "caduta". Purtroppo questo corto si smarrisce nell'epilogo. Mi sarei aspettato (viste le premesse) qualcosa di diverso.

Voto 3 (sufficiente)

L’effetto domino di ritorno delle fila di persone che cadono è affascinante. La vita è una continua fila, al supermercato, all’entrata in discoteca, in chiesa, al museo, al gioco del lotto, al bancomat, davanti alla mensa dei poveri, ma la rabbia del paria che butta tutto all’aria (anzi basta colpire la prima pedina e l’effetto si ripercuote all’indietro) è lungimirante. Però,come ho letto anche in un commento il film a momenti sembra un “virtuosistico esercizio di stile”. Un lavoro ben fatto, molto curato (bella la sequenza iniziale al supermercato) ma che non approda da alcuna parte. Col tempo la mente si offusca, comincia a dimenticare. E infatti sto dimenticando l’epilogo. Possibile che stia già dimenticando un cortometraggio che al momento ho valutato bene?


Crossing Salween (di Brian O’Malley, Irlanda-Birmania, 2010)

Sopravvissuta al massacro della sua famiglia, una giovane ragazza deve affrontare un lungo viaggio attraverso gli orrori della giungla birmana, lungo il fiume Salween. Al di là del fiume si trova la libertà della Thailandia.

Semplicemente drammatico. In pochi minuti viene mostrata la tragedia del popolo birmano e con essa la voglia di vivere di una bambina. Sequenze perfette e bene assemblate, fotografia fantastica, l'interpretazione della piccola mi ha positivamente stupito. La sequenza delle esecuzioni e della cattura di Ko Rih mostra allo sguardo tutta l'assurdità e l'imprevedibilità della violenza, una sequenza che ricorda le tante immagini di guerra mostrate su internet, immagini di innocenti uccisi come in un videogame.

Voto 5 (ottimo)


Ho già detto tutto nel commento sopra, scritto di getto dopo avere visto il cortometraggio. E ancora oggi confermo il voto anche se mi rendo conto che dietro il film c’è una grande produzione, ma quando ripenso alla scena del bosco con i profughi in attesa di attraversare il confine (un fiume che separa la Birmania dalla Thailandia) e vedo arrivare i soldati che obbligano alcuni a inginocchiarsi prima di ucciderli, mi commuovo. È un film strappalacrime? No, penso proprio di no. La morte arriva improvvisa, in silenzio, arriva sotto forma di divisa e miete a caso nel fuggi fuggi generale, mentre chi viene ucciso attende inginocchiato e in silenzio che la sofferenza abbia termine, proprio come in un video game in cui basta inquadrare il nemico con un mirino, come nelle sequenze di guerra vera in Irak, quando da un elicottero si punta un uomo e lo si uccide con una raffica, con semplicità, come stare comodamente seduti sulla propria sedia. Questa non è la guerra fredda degli anni settanta ma la algida “pace” degli anni duemila. Non potevo esprimere un voto più basso, nonostante (ora che ci penso) alcuni difetti. Mi sono visto in quella boscaglia, ho sentito un brivido scorrermi lungo la schiena e non ero seduto alla consolle per giudicare un popolo, ma stavo nuotando insieme a Ko Rih, una bambina birmana, sola, in fuga verso il suo futuro.


Elder Jackson (di Robin Erard, Svizzera, 2010)

Missionario mormone, Jacob Jackson vive una vita semplice, tra l'evangelizzazione e la vita della comunità. Il suo incontro con Kathy, un altro membro della Chiesa, sarà per lui fonte di turbamento. Bloccato tra il suo desiderio e la struttura rigida della chiesa, incapace di gestire il suo amore in crescita per la ragazza, Jacob è confuso. Portato al limite, potrà finalmente mostrare il suo vero volto.

Film di grande qualità. Sceneggiatura buona, recitazione che non fa una piega, regia raffinata. Reso magistralmente l'erotismo che sprigiona dalla visione della gamba della Ruchat che seduce Elder: scena emblematica ed emozionante.

Voto 4 (buono)

Come farsi sedurre da una ragazza attraverso i particolari del suo volto, della ciocca di capelli che passa davanti agli occhi, la gambe che si intravedono dietro lo spacco della gonna , i suoi movimenti , i suoi occhi. E in effetti a un certo punto (come è stato evidenziato anche in un commento) ho cominciato a sentire il suo profumo e a questo punto ho condiviso il desiderio di Elder ma non la sua reazione. Un bel film che mi ha turbato anche se ho percepito l’insieme del lavoro con un po’ di distacco. Probabilmente perché una sceneggiatura simile è più adatta a un lungometraggio. Chissà.


Fabbrica de muñecas (di Ainhoa Menéndez, Spagna, 2010)

Anna lavora in una fabbrica di bambole. Tutta la sua vita ruota intorno al gesto meccanico di mettere gli occhi sui volti delle bambole . Ma un piccolo cambiamento nella catena di montaggio cambia la sua vita per sempre.

Un bel cortometraggio. L'automatizzazione della catena di montaggio ha contribuito ad automatizzare anche i movimenti e i comportamenti degli operai, ma l'aspetto più interessante del corto viene espresso anche "fuori" dalla fabbrica, dentro la stessa vita, la casa, le abitudini e i movimenti di tutti i giorni che rimangono sempre alienati. Solo un inceppamento (fabbrica), un incidente (perdita dell'occhio) può permettere ad Anna di assumere un nuovo sguardo o almeno di provarci. Al di là di alcune incertezze (es.: il rapporto con l'uomo, ma la breve durata del corto non poteva comprendere anche questo) il lavoro mi sembra di grande qualità.

Voto 4 (buono)

Subito dopo aver visto il film volevo assegnare un “ottimo”, ma sono bastati alcuni secondi per decidere di abbassare di un punto il mio voto. Non saprei dire perché. Forse in effetti (come ho letto dopo in un commento) l’idea della catena di montaggio è un po’ datata (adesso siamo alla catena della perdita del lavoro, della precarietà) anche se non è solo una catena di montaggio ma anche una perdita di lavoro, pertanto non datato perché o “fai” movimenti determinati, voluti e decisi dal potere, o puoi pure iniziare a cercare il nulla su un giornale. Il film mi ha emozionato quando è caduto l’occhio nel lavandino, un occhio di bambola che impedisce allo sguardo di innalzarsi sopra il velo conforme che offusca il mondo e nasconde gli oggetti. Il caso però fa sì che l’occhio cada e che debba essere sostituito, allora la visione stereoscopica prende il sopravvento, il colore si fa materia, acquista consistenza e comincia a decostruire il mondo velato per cercare l’esatta collocazione degli oggetti.


Hai in mano il tuo futuro (di Enrico Maria Artale, Italia, 2010)

In una società in cui il controllo del comportamento individuale si è radicalizzato attraverso un sistematico monitoraggio delle urine, un giovane ragazzo, chiuso nel gabinetto, aspetta lo stimolo giusto con l’apposito barattolino in mano. Si sforza, ma non c’è verso. Una giovane infermiera lo osserva attentamente: la sua bellezza complica le cose. E la tensione aumenta…

Split-screen che alla fine stanca, epilogo prevedibile e ottuso. Peccato perché il film possiede una potenzialità intrinseca notevole. Con maggiore attenzione al montaggio e una sceneggiatura più chiara sarebbe stato un corto di ottima qualità (ad esempio il rapporto con la ragazza che controlla le minzioni è stato trascurato). Comunque se non altro molto divertente.

Voto 3 (sufficiente)

Sinceramente la prima parte mi era piaciuta. Soprattutto l’idea del valore aggiunto delle urine utilizzate da un potere ctonio per controllare i propri cittadini, perché dalle analisi delle urine si vede ciò che bevi o mangi (cibo, bevande, droghe, caffè, salvia) e pertanto la vita che conduci. Controllare le tue orine equivale a controllare la tua vita. Però l’epilogo con quella rivolta quasi da cabaret, con le urine che schizzano in faccia al rappresentante del potere, agli analisti, agli impiegati e i poveri cittadini-sudditi che si ribellano con goliardia, e il giovane ragazzo che non trova di meglio da fare che baciare l’infermiera addetta a osservare che le minzioni siano effettuate con correttezza (niente spaccio insomma di urina pura) mi sembra sinceramente troppo.


Intercambio (di Antonello Novellino, Antonio Quintanilla, Spagna, 2010)

In un tranquillo paese la vita scorre secondo i ritmi dettati dall’agricoltura. Ma il governo sequestra tutto il raccolto e la fame si abbatte sulla cittadina. Come sopravvivranno gli abitanti?

Film bello e angosciante. Sintesi della crudeltà del potere e della lotta per sopravvivere. L'opera trasporta nel "nostro" mondo la tragedia di una realtà che fingiamo di vedere, ma che non ci tocca minimamente. Per questo mi sarei aspettato una maggiore incisività anche se le sequenze sono buone. In altri termini, certe scene mi sembrano distanti, come viste da lontano e magari era proprio questa l'intenzione di Novellino. Peccato non potere essere in sala a porgli la domanda.

Voto 4 (buono)

Questa la domanda che ho posto a Novellino “Il film è angosciante e l'epilogo è un vero e proprio pugno nello stomaco, però sembra mancare di passione. A momenti sembra di assistere a un documentario storico che racconta per immagini eventi lontani nel tempo e nello spazio (la dura vita dei contadini di un passato neppure poi tanto lontano e la sofferenza del terzo mondo). Mi sembra che non sia stato approfondito il rapporto tra figlia e genitori, almeno nell'epilogo mi sarei aspettato maggiore pathos. E' stata questa una scelta autoriale? Forse il regista voleva sottolineare la distanza tra la nostra "facile" vita quotidiana e la sofferenza a cui siamo sempre più indifferenti? Ma in tal caso non sarebbe stato preferibile trovare altre soluzioni più coinvolgenti? Grazie”. Penso di non aggiungere altro. Certo devo constatare che il film ha vinto ex aequo il premio Corto Europa e quindi qualcosa possederà se è piaciuto alla maggioranza dei giurati. Inoltre anche il sottoscritto ha espresso un voto abbastanza alto, pertanto in effetti il film merita, ma… non so.. per me non era da annoverare tra i migliori. Tutti i gusti son gusti.





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