13 gennaio 2008

A proposito di Nanà (Vivre sa vie)

Questa è la mia vita (Jean-Luc Godard, 1962)

Amore e morte, luce ed ombra, bello e sublime acquistano senso solo nell’espressione artistica e nella coscienza dello spettatore, quindi lungo la linea dell’informazione che collega opera d’arte e fruitore. All’interno del mondo, invece, sono esperienze inverosimili, nel senso che non sarebbero comprensibili secondo le regole del cinema classico. Per Godard il vero non è verosimile e la morte “non è la morte grandiosa del cinema di guerra, degli Aldrich, dei Fuller, in cui l’attore ha tempo per dare addio al mondo e per indirizzare un ultimo birignao allo spettatore. È la morte vera, improvvisa, stupida”(1). La morte di un personaggio, ad esempio, non avviene nel sintagma, l’inquadratura che segue non serve a completare il senso dell’inquadratura che precede. La morte si trova dentro l’istante, non è costruita prima né viene rievocata dopo. La morte spettacolo la si va a vedere al cinema, piangendo per il destino avverso del protagonista. In Vivre sa vie Nanà entra in un cinema dove si proietta La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer. Nella sequenza citata da Godard Antonin Artaud annuncia alla Falconetti la sua prossima morte e i primi piani dei due attori s’intrecciano ai primi piani di Nanà mentre i sottotitoli del vecchio film diventano i sottotitoli del film in corso. La morte annunciata a Giovanna d’Arco s’incolla, tramite una didascalia del film di Dreyer, al primo piano di Nanà. La morte sarà una liberazione per Giovanna-Nanà. L’idea di morte che la famosa sequenza di Dreyer trasmette, colpisce l’immaginario dello spettatore-Nanà. Le lacrime scivolano sul suo volto come già stanno scivolando sul volto della Falconetti. Questa sequenza è il negativo dell’ultima, il dodicesimo quadro, che inizia con un ragazzo che legge a Nanà un racconto di Poe (Il ritratto ovale). I dialoghi sono privi di sonoro, con i sottotitoli che indicano le battute. I sottotitoli non annunciano nessun evento di morte; caso mai sono questi stessi (riportando alla mente la citazione della Giovanna d’Arco) rappresentazione della morte. È come se Nanà non fosse mai uscita dal cinema e i suoi primi piani avessero continuato ad intercalarsi a quelli della Falconetti e di Artaud oppure come se Godard abbia indugiato tra una morte “classica” e una morte qualsiasi, inutile, imprevedibile. Imprevedibile come la morte di Nanà che sopraggiunge senza avviso quasi cogliendoci di sorpresa, senza preparazione e rimanendo sospesa nel frame-stop finale: l’immagine bloccata di Nanà distesa per terra, accasciata ai piedi dell’auto, immobilizzata, congelata nell’attimo stesso, senza tragedia, senza dramma, né ellissi. Il pianto è tutto per l’annunciata morte di Giovanna d’Arco, perché Giovanna d’Arco è la Storia. Per Nanà invece un attimo come tanti, più insignificante di tanti, più insignificante di uno sguardo al cinema atto a incrociare quello di una Santa condannata a morire sul rogo. Il cinema diventa più reale della realtà. Allora soltanto la potenza del Falso potrà “smontare” l’idea di morte sublime tanto cara al cinema classico. Caso mai è un’ulteriore citazione (in una delle ultime inquadrature del dodicesimo quadro) che può essere considerata un “segno” dell’imminente fine di Nanà. In una delle ultime inquadrature del film la macchina da presa (probabilmente dal punto di vista di Nanà) inquadra, posta all’interno dell’auto guidata da Raoul, i boulevards cittadini che scorrono ai lati dell’autovettura: l’Arco di trionfo, il traffico, e la fila che si è formata davanti ad un cinema dove si proietta Jules e Jim di François Truffaut. L’epilogo tragico di Jules e Jim (Catherine guida la macchina giù da un ponte morendo annegata insieme all’inconsapevole Jim), tragico ma improvviso, quasi stupefacente per la sua assurda inconsistenza, fa presagire l’imminente identica fine di Nanà. Ancora una volta sarà la citazione (ma stavolta è citazione di cinema “moderno”) a dare il "la" al “tragico” epilogo della vita di Nanà. Anche il cinema moderno, dunque, non riesce a rendere la mancanza di senso del mondo. La morte di Catherine (in un certo senso simile a quella di Nanà e a quella del poliziotto di À bout de souffle) non basta a rendere l’assenza di senso insita nella morte, non basta a stabilire l’ingresso nell'interno dell’attimo. Jules e Jim è già “proiezione in atto”, cinema, è già nella memoria dello spettatore e la morte di Catherine è già evento tragico. Nanà invece sta per morire adesso. Prima ancora di entrare nella memoria dello spettatore, è già morta nello spettacolo (prima al cinema con Giovanna d’Arco e poi nell’ultima sequenza quando appare la locandina di Jules e Jim), e quando infine muore nella “realtà”, per un attimo la morte “vera, improvvisa, stupida” prende il sopravvento. Ma tutto questo non può bastare a Godard. Per Godard nel cinema “l’immaginario e il reale sono nettamente separati eppure sono una cosa sola”(2). Anche Vivre sa vie sarà una citazione in potenza e la morte di Nanà sarà un po’ meno stupida, un po’ meno improvvisa e un po’ meno vera.


(1)Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, p. 110
(2) J.L. Godard, Il cinema è il cinema, p.235

40 commenti:

Anonimo ha detto...

Questi collegamenti mi fanno sempre leccare i baffi!! Complimenti a te che ce li proponi!!
Ale55andra

Luciano ha detto...

@Ale55andra. Ti ringrazio e mi fa piacere che tu apprezzi ;)
Mi sono accorto solo ieri che non avevo risposto a un tuo commento sulla Notte di San Lorenzo. Ho provveduto solo ora e me ne scuso.

chimy ha detto...

Che dire? un bellissimo post... che gran film "Vivre sa vie".

Mi permetto di citare un'altra "morte" celebre del cinema di Godard: quella di B.B. ne "Il disprezzo".
Il finale del film non è altro che un profondo ragionamento sulla natura stessa del cinema: la diva muore (in una posa innaturale) ma nonostante questo il Cinema deve andare avanti, non si può fermare. Infatti l'ultima immagine mostra il regista che continua a girare un film.
E chi è l'"attore" che interpreta questo regista: Fritz Lang...

Penso che l'aggettivo di Genio si possa dare a pochissimi autori della storia del cinema: tra questi, certamente, c'è Jean Luc Godard.

Un saluto

Luciano ha detto...

@Chimy. Sono d'accordo.Nell'ultima sequenza di Le mépris, durante l'incidente d'auto in cui muoiono Camille e Prokosch si odono soltanto i rumori del cozzo tra l'auto e un autocarro. Anche la morte avviene nell'interstizio dell'inquadratura, nello spazio-tempo dell'immagine. Proprio perché come hai detto lo spettacolo continua, il cinema è il cinema, e Godard ha colto l'attimo "stupido" della morte.
Ciao.

Anonimo ha detto...

che dire, ogni volta dopo un film di godard tutto il cinema è piccolo, è un discorso a parte... non paragonabile al resto...
e poi anna karina è lo sguardo più intenso e meraviglios mai visto sullo schermo... anna karina che piange è la mia immagine sul desktop...

Anonimo ha detto...

Heyyy sono tornata!! :)

Luciano ha detto...

@Claudio. Sì, lo sguardo della Karina è indimenticabile, come ho detto anche in un commento sopra: una donna meravigliosa.

@Lilith. Bentornata! Mi fa veramente piacere. Appena posso vengo sul tuo blog. :)

Christian ha detto...

Anch'io sto guardando o riguardando parecchi film di Godard negli ultimi mesi. Lo amo molto come regista, come stile e come idee, ma i risultati a volte mi lasciano freddino. Forse preferisco un cinema più narrativo... Questo comunque mi è sembrato uno dei suoi film più interessanti e notevoli di quegli anni (insieme, forse, a "La cinese" e "Il maschio e la femmina").
Ciao!

Anonimo ha detto...

miei godard, con voti che lasciano il tempo che trovano:
fino all'ultimo respiro 10
pierrot le fou 10
band a part 9
vivre sa vie 9
una donna sposata 9,5
2 o 3 cose che so di lei 8,5
la cinese 8,5
masculine et femenin 8

poi scendo... fino agli ultimi un po' così... Anche se i framemnti delle Histoires du cinema che ho visto sono favolosi...

M.S. ha detto...

riesci sempre a incuriosirmi... approfondirò.

Luciano ha detto...

@Christian. Alcuni film di Godard sono molto sperimentali e in effetti risulta difficile farsi coinvolgere. Comunque i film che hai citato sono veramente notevoli. A me i suoi film piacciono quasi tutti, ma i miei giudizi non sono attedibili essendo un "fanatico" di Godard. Ciao!

@Claudio. Vedo dai voti che sei un estimatore di Godard. Otto film a cui hai dato un voto che va dall'8 al 10! Quindi il tuo è un giudizio del tutto positivo!

Luciano ha detto...

@Mario. Mi fa piacere. Anch'io devo passare dal tuo (come dagli altri) blog. Ma per il momento sono fuori città e ho pochissimo tempo per connettermi(e sono senza PC).

monia ha detto...

splendido...

domenico ha detto...

come sai sono un neofita del cinema godardiano, ma quel poco che ho visto l'ho amato, e forse amato non rende abbastanza
questo mi manca e devo procurarmelo, mi ricorderò sicuramente che ne hai parlato e tornerò a dirti cosa ne penso
sulle tue parole, bè, lo sai, sono sempre affascinato dal tuo modo di raccontare i film
(ed è curiosa la presenza di Jules e Jim, altro film che ho letteralmente amato, sicuramente gradirò!)

Luciano ha detto...

@Monia. Sì, un film splendido!

@Honeyboy. Credo che il film ti piacerà. Per me è uno dei migliori film di Godard.

Deneil ha detto...

non posso esprimermi..mi mancano troppi riferimenti!resta il fatto che è comunque un piacere leggerti!

Luciano ha detto...

@Grazie Deneil. Comunque se un giorno ti capitasse di vederlo, magari fammi conoscere la tua opinione.

Pickpocket83 ha detto...

Applauusi per questa super-analisi...pregnante è dire poco! è uno dei non moltissimi film di Godard che ho visto e mi colpì tantissimo, anche per la sua totale differenza di stile rispetto ad "A bout de souffle". Come sottolinei tu la sequenza del cinema con la "Giovanna d'Arco" di Dreyer è meravigliosa, indimenticabile, sublime. A presto, un caro saluto

Luciano ha detto...

@Pickpocket. Ti ringrazio e sapere che il film ti è piaciuto non può che farmi piacere. In effetti Vivre sa vie è un film più complesso di quanto non sembri. Le citazioni (ma questa è una caratteristica dei film di Godard) sono molte e in particolare mi interessava mettere in evidenza come un film citato in un altro film, in qualche modo influenzi e trasformi il film che stiamo vedendo. In tal modo certi film sono come pianeti le cui orbite sono determinate anche dai film nominati (o mostrati). Un caro saluto.

Anonimo ha detto...

innanzitutto complimenti per il blog e per le analisi dei film, molto accurate e stimolanti.
Godard è uno dei miei autori preferiti (per certi versi il mio preferito), per la capacità di spiazzare lo sguardo dello spettatore ad ogni inquadratura, seguendo sempre un percorso o un ragionamento e mai per inseguire un "effetto"...
nonostante parli un buon francese la difficoltà di reperire molti dei suoi film con i sottotitoli in italiano è un cruccio per me (sulle versioni italiane è meglio stendere un velo pietoso...): in particolare cerco da tempo pierrot le fou nella versione originale con sottotitoli in italiano: potresti aiutarmi?
grazie

Luciano ha detto...

@Ferdinand. Anch'io sono appassionato di Godard, ma, come sai meglio di me, è sempre più difficile reperire suoi film (soprattutto sottotitolati). Di Pierrot le fou possiedo una versione in Italiano su VHS (con alcuni tagli ma purtroppo sminuita dal doppiaggio) e una versione in lingua originale. Nonostante stia cercando una versione sottotitolata da anni, non sono riuscito a trovarla. Comunque possiedo la sceneggiatura che venne pubblicata su un numero di Filmcritica del 1965. E' in italiano e non vi sono tagli. Le edizioni della Rarovideo hanno pubblicato per ora alcuni film di Godard, ma non Pierrot (almeno fino a un mese fa). Comunque in rete esiste una versione con sottotitoli in spagnolo (e naturalmente in inglese). Sono veramente dispiaciuto. Se possiedi un blog puoi inviarmi il tuo link? Purtroppo blogspot non mostra gli indirizzi degli altri motori. A presto!

ferdinand ha detto...

caro luciano,
non posseggo un mio blog, semplicemente la mia passione per il cinema mi porta a visitare quelli che mi sembrano interessanti...
peccato per pierrot, sapevo dell'esistenza dei sottotitoli in spagnolo ed inglese, ma speravo di avere qualche buona notizia da chi magari ha più capacità di me di sviscerare i meandri di internet e più esperienza cinematografica...
comunque mi interessa molto la sceneggiatura: se non ho capito male è la traduzione della versione originale; sai dirmi se ed eventualmente dove si può trovare?
Qualora fosse veramente difficile da trovare ti chiederei un grande favore: se potessi farmene avere una copia...
normalmente non chiederei una cosa del genere, ma mi è sembrato di notare una grande disponibilità dalle risposte che dai sul tuo blog, e poi, come avrai capito ci tengo veramente tanto...
grazie comunque

Luciano ha detto...

@Ferdinand. Possiedo la rivista del '65 quindi è materiale cartaceo. Posso inviarti, ad un indirizzo che mi indicherai, le fotocopie della sceneggiatura oppure, ma in tal caso mi serve un po' di tempo (saranno diversi giorni perché in questo perioodo non ho nemmeno un attimo per fermarmi a respirare),potrei fare una scansione e inviarla a un tuo indirizzo e-mail. Fammi sapere ;)
A presto.

ferdinand ha detto...

Grazie veramente di cuore. Non vorrei approfittare della tua disponibilità e del tuo tempo, quindi scegli tu la modalità che ti è più comoda. Ti lascio il mio indirizzo mail per metterci d'accordo: g278@@libero.it

Grazie ancora e a presto

Luciano ha detto...

@Ferdinand.Ti invio immediatamente una e-mail. (ma è un errore o vi sono due chioccioline sul tuo indirizzo?).

ferdinand ha detto...

sì è un errore di battitura: c'è solo una chiocciolina!

Luciano ha detto...

@Ferdinand. Bene. Forse hai già ricevuto la mia e-mail.

Noodles ha detto...

C'è quella sequenza in cui Nanà esce dalla camera del cliente per chiamare un'altra prostituta. E' un momento che m'ha fatto saltare dalla sedia per come G. gestisce lo spazio. Un corridoio stretto con porte che si aprono e chiudono di continuo, dove sembrebrebbe scontato il modo di girare la sequenza, e invece lui la rivolta come un guanto, taglia, ricuce, ripete, riprende.

Luciano ha detto...

@Noodles. Sì, è una delle caratteristiche più eclatanti del suo cinema (almeno del primo periodo godardiano). A Godard piace "ingannare" lo sguardo o meglio destabilizzare le "certezze" della visione. Lo spazio per lui appartiene all'immagine, mentre nel sintagma diventa un modo per disorientare lo spettatore: spesso l'oggetto osservato non è (nell'inquadratura che segue) la logica conseguenza di uno sguardo dell'inquadratura che precede. Frammentare lo spazio, oppure ripetere parte di una scena (simultaneità dello spazio-tempo) o frammentare le sequenze (tagli improvvisi e inspiegabili che nulla hanno a vedere col cinema classico). Piani sequenza lunghissimi (famoso quello con Nanà ripresa da dietro in un bar, con suoni disturbanti, il rumore del caffè e della strada), improvvisi frame stop, citazioni "visive", scritte o declamate, sono caratteristiche essenziali del suo cinema. Come dice Farassino in fondo Vivre sa vie non è un racconto, soprattutto per le interruzioni improvvise del flusso delle imamgini, per le didascalie o la suddivisione in quadri. Impressionante la sequenza del "Ritratto ovale" che, sottolineando il valore della parola scritta, inizia e termina senza sonoro ma con i sottotitoli. Con Godard non finiamo mai di provare emozioni. Ti ringrazio Noodles per questo tuo commento su un regista che mi è molto caro^^

Noodles ha detto...

Sì è facile intuire che ti piaccia molto Godard. :p
io vengo spesso qui a leggerti su di lui perché è tra i "nouvellisi" che conosco meno, e me ne dispiace. Ho visto solo questo, Band a part, Il disprezzo e A bout de souffle. Un po' poco.
Certo, almeno da ciò che ho visto temo di preferirgli di gran lunga l'anarchia più tematica di Truffaut (anche se io non sono mai d'accordo con chi definisce Truffaut un "classicista", anzi mi incazzo pure quando lo dicono ahah).
Godard mi da sempre l'impressione di essere sempre scagliato contro qualcosa, il cinema (classico) in primisi. A volte sembra che ci sbatta contro quasi per forza. Un film come questo, Vivre sa vie, è indubbiamente interessantissimo, ma i film di Godard mi danno sempre un'eccessiva impressione programmatica. Che poi è voluta, intendiamoci, e non dico che ciò li penalizzi, sono io che preferisco maggiormente le opere di "cuore", che di "cervello". E Truffaut è indubbiamente più adatto a me (e non perché non abbia "cervello", solo perché il dato "sentimentale" - inteso qui ovviamente in senso assolutamente altro, metodico e non tematico - è più deciso).

Noodles ha detto...

ah un'altra cosa che volevo scrivere, leggendo la tua risposta: sì è vero, Godard scardina con furia, però al tempo stesso - correggimi se sbaglio - mi piace molto il suo modo di innovare senza però lasciarti smarrito. Le soluzioni ardite che lui scova ti sorprendono piacevolmente, ti fanno saltare dalla sedia, ma al tempo stesso - e questo mi pare il suo più grande pregio - lui ti fa sentire che sono ASSOLUTAMENTE appropriate, nel momento stesso in cui te le mostra. Insomma non ti confonde, facendo lo snob, e ciò mi sorprende conoscendo un po' la sua biografia (e anche i litigi con l'amico/poi nemico François), proprio perché Godard è famoso per essere - a volte - un grandissimo stronzo (se mi passi il finissimo epiteto).

Luciano ha detto...

@Noodles. Truffaut è stato uno dei più grandi registi di tutti i tempi e per me i suoi film sono di "difficile" lettura, molto stimolanti, emozionanti. Narrativi? Sì, ma diversamente narrativi dai film di Godard. Due stili diversi eppure diversamente affascinanti. Per quanto riguarda il cervello… Deleuze definisce Godard un regista del corpo (insieme a Cassavetes e Rivette), mentre i registi del cervello sono Kubrick e Resnais. I film di Godard non sono girati seguendo una sceneggiatura impeccabile e minuziosa, ma solo seguendo le idee, ponendosi delle domande, cercando di rispondere a dei dubbi anche attraverso l’improvvisazione. Riporto una frase ripresa da L’immagine-tempo: “In Godard […] i suoni, i colori sono atteggiamenti del corpo, cioè categorie, trovano dunque il proprio filo tanto nella composizione estetica che li attraversa, quanto nell’organizzazione sociale e politica che li sottende. […] Il cinema di Godard va dagli atteggiamenti del corpo, visivi e sonori, al gestus pluridimensionale, pittorico, musicale che ne costituisce la cerimonia, la liturgia, l’ordinamento estetico” (p.216). La sua narrazione passa attraverso il corpo. I suoi film, che ai più sembrano ostici e complessi (e a certi livelli di lettura lo sono), si lasciano “guardare” come si guarda un corpo (la sua danza, il suo andare a zonzo, il suo urtare, colpire, cadere, alzarsi, bagnarsi, incresparsi). Per Aumont Godard è un pittore. Ad un certo punto nel suo libro “L’occhio interminabile”, trattando di Je vous salue Marie, scrive : “Io […] sono tra coloro che credono che la grazia, il miracolo, l’apparizione interessino Godard solo rispetto al cinema, all’arte, e che si stupiscono che alcuni critici abbiano potuto confondere mistero e religione. Così il valore di rottura del film a mio parere è soprattutto nello sforzo incessante di produrre immagini, per sfuggire all’influenza del linguaggio, per riportare il più possibile il cinema nella sfera del visivo, della visività. «Tu non vuoi scrivere, tu vuoi vedere» e «il mondo prima lo si vede, poi lo si scrive», dice a se stesso il Godard di Scénario du film «Passion» […]” (p. 162). Per questo forse (e mi trovo d’accordo con te) Godard non ci lascia smarriti. In fondo è stato l’ultimo regista romantico, amante di un cinema che oggi non è più possibile fare. E’ vero, tutto questo sorprende, proprio perché, come uomo, a volte Godard si comporta da stronzo.

Noodles ha detto...

Be' indubbiamente hai ragione, e forse io mi sono espresso male. Con film cerebrale intendevo un tipo di cinema molto programmatico. Godard mi da l'impressione - magari errata eh - di fare dei film per mettere in trappola il cinema, cioè è come se più che la storia gli interessasse molto di più il modo strambo di raccontarla (in questo è assolutamente moderno, senza dubbio, anzi postmoderno). Truffaut che pure innovava e trovava soluzioni magnifiche e originalissime, mi sembra però sempre più partecipe (ecco forse ho trovato il termine). Truffaut è compagno e amico dei suoi personaggi, Godard mi pare che li mandi allo sbando senza alcuna "compassione", nel senso etimologico del termine proprio. La fine di Nanà è paradigmatica. Truffaut non l'avrebbe mai girata così, temo. (Anche le uccisioni finali in Tirez sur le pianiste le trovo più calorose - e anche più classiche forse - pur avvenendo nella neve :p ).
Se intendo bene la citazione deleuziana - mannaggia a me che nn riesco mai a terminarlo L'immagine tempo, sono troppo ignorante o troppo ostile a ogni testo troppo filosofico - mi pare di capire che esalti, oltre al sottotesto sociale-politico del "tema", la concatenazione stessa delle immagini, il montaggio, insomma il dato strettamente "fisico-visuale" del cinema godardiano, che in effetti mi pare assai pronunciato. Mi ricordo alcune sequenze di Fino all'ultimo respiro e di Band à part che erano davvero costruite con un ritmo rapido invidiabile.
Ora sembra che mi sto rimangiando il "j'accuse" di cerebralismo di un msg sopra, ma non è così. Il cerebralismo di Godard, questo volevo dire, non lo intendo come quello kubrickiano o quello di resnais (sono d'accordo con deleuze - che poi stranamente molto cinema di Resnais mi piace molto, pur non essendo io affatto un amante del cinema-cerebrale; per non parlare dell'adorazione per Kubrick - ma c'è differenza e mi fermo qui se no sfocio in un enorme off-post), dunque dicevo il cerebralismo di Godard mi pare di "approccio", nel modo stesso in cui - mi pare - lui guardi e legga il cinema e faccia i suoi film, di volta in volta. Come un agitatore/contestatore, ecco. Come se più che la storia che racconta gli interessasse piazzare bombe sotto la tranquillità del cinema che lo precede e lo circonda. Che è geniale, intendiamoci, e mi piace anche molto, solo temo che darò sempre più spazio ai registi del cuore, anche se poi a quel punto non so mai come metterla con Kubrick (che però a volte lo si tratta troppo eccessivamente come un razionalista, come un "ingegnere", come scriveva Truffaut).

Luciano ha detto...

@Noodles. Grazie per questi tuoi stimolanti commenti:) Per Godard bisogna porsi delle domande e il cinema deve cercare almeno di dare una risposta anche se la preoccupazione di porsi domande è molto più importante di trovare delle risposte. Nei suoi film ci sono delle storie (retaggio del cinema che più amava quand’era critico dei Cahiers), ci sono citazioni riprese da Aldrich o da Fuller o da Nicolas Ray, c’è un certo tipo di cinema americano, perché il cinema deve fare i conti col cinema che lo precede. Ricordo che Godard affermava che i suoi primi film erano il risultato di un accumulo di materiali raccolti nel tempo (anche di quand’era solo un cinefilo dei Cahiers), quindi i suoi primi film erano in rapporto ad altri film (A bout de souffle è esemplare – es.: Bogart o la Jean Seberg di Bonjour tristesse). Nei suoi film ci sono dei problemi perché il cinema tratta di problemi; ad esempio in Passion c’è il problema della luce giusta. Godard (non ricordo il punto esatto e cito a memoria), nel suo volume Il cinema è il cinema, ad un certo punto scrive che gli sarebbe piaciuto girare un film su un lager nazista durante la seconda guerra mondiale. Ma a lui sarebbe piaciuto far “vedere” i problemi di organizzazione quotidiana di un lager: ad esempio come una dattilografa scrive o archivia le pratiche relative ai detenuti ebrei prima di essere portati nelle camere a gas. Praticamente mostrare come l’orrore che sta a pochi metri di distanza si trasforma in routine per una dattilografa che vive anche di problemi quotidiani (torna a casa, è stanca, magari si porta dietro l’odore nauseabondo del lager e a casa ha il vizio di pulire perché tutto gli sembra maleodorante, ecc.). Come ho detto Godard si preoccupa dell’immagine. Nell'incipit di Pierrot le fou, Belmondo legge un brano dalla Storia dell'Arte di Elie Furie: "Velazquez dopo i 50 anni non dipingeva mai una cosa definita. Girovagava attorno agli oggetti con l'aria e il crepuscolo. Coglieva nell'ombra e nella trasparenza dei fondi le palpitazioni colorate di cui faceva il centro invisibile della sua silenziosa sinfonia...." (questa frase l’ho già utilizzata in un altro mio commento su questo blog). Velázquez non dipingeva più le cose definite, ma quello che c’è tra le cose. Sarebbe possibile affermare che a Godard interessa anche cosa c’è dietro la rappresentazione? Gli interessa scardinare la forma classica? Può darsi ma il suo lavoro consente anche di “allargare” lo sguardo oltre il campo-contro campo. Il mondo non finisce nell’ellissi ma prosegue nella nostra immaginazione. Ad esempio come posso girare questo film, raccontare la storia e i problemi di una segretaria? Magari faccio anche vedere i binari dove scorre un carrello che riprende una sequenza. Godard è un esperto improvvisatore, sceglie materiali anche all’ultimo momento e gira film quasi senza una sceneggiatura. Ogni immagine ha una sua storia, magari non in sintonia con l’immagine che segue. I suoi personaggi sono “problematici”, fanno quello che fanno i personaggi di altri film, ma forse senza enfasi, perché sono inseriti in un problema (anche di ripresa filmica), sono personaggi che guardano in macchina, che vengono intervistati, che tradiscono senza apparenti motivi, che vivono il loro mondo quasi senza rendersene conto. In “Deux o trois choses que je sais d’elle” ELLE non è solo la protagonista Juliette, ma è la Regione Parigina, è la prostituzione e per me anche la Bellezza del disfacimento morale, politico ma anche estetico (un giorno recensirò questo stupendo film). Juliette è madre, moglie e prostituta e il mondo che le gira intorno ha senso nel nonsenso che attanaglia la vita, la forza dirompente degli oggetti, la visione dall’interno del mondo e l’esterno che esiste di per sé con la sua assurda assenza di senso. I suoi personaggi non possono essere simili ai personaggi di Truffaut perché quelli di Godard sono processi in fieri, emanazioni del film e strutture interiori che portano il dentro nel Fuori e il Fuori nel Dentro. Un personaggio di Godard (scusami per questa strana metafora che non è nemmeno mia) è come sentire la propria voce dal dentro: è quella sbagliata (la nostra vera voce la sentono gli altri), ma è quella che ci segue per tutta la vita e che impariamo ad amare e odiare. Truffaut avrebbe girato sicuramente in modo diverso i film di Godard, ma stranamente (probabilmente lo sai) la sceneggiatura canovaccio (poche righe) di A bout de souffle è stata scritta da Truffaut (che io amo anche se in modo diverso da Godard).

Noodles ha detto...

Sì lo so, infatti mi chiedo sempre come avrebbe girato Truffaut A bout de souffle. Mi sa che l'avrebbe "disteso" maggiormente, nonostante il suo intreccio sostenuto.
L'idea godardiana del film su Lager è estremamente interessante. In effetti sono pochi ( o quanto meno non molto famosi) i film sui nazisti e meno ancora sulla "manovalanza" dei Lager. Si è sempre più attratti dalla tragedia del popolo ebreo, dalla Shoah - e credo sia naturale, l'Uomo cerca sempre di capire l'Orrore più terribile, forse per ridimensionarlo, per farci i conti, per averne meno paura (sono meno convinto che lo faccia perché "questo non avvenga più" - la Storia anzi insegna che ripetiamo continuamente gli stessi errori).
Sui personaggi godardiani, per quello che ho visto, mi ritrovo perfettamente con ciò che scrivi - e forse è anche il motivo della mia non totale passione per lui - è proprio la sottrazione dell'enfasi, certe volte mi danno quasi l'impressione di maschere della commedia dell'arte, ma privati pure dello sberleffo e del tono sgargiante.
Certo poi è anche giusto che i suoi personaggi non siano simili a quelli di Truffaut. Mi chiedevo una cosa: uno degli elementi che li oppone potrebbe essere la passione bruciante di Truffaut per i libri? Cioè, il suo cinema mantiene (almeno nelle apparenze e certamente se confrontato a quello di Godard), un impianto molto più tradizionale, narrativamente parlando, inteso anche del modo di raccontare i personaggi. Ci sono molti libri che analizzano il rapporto del suo cinema con la pagina scritta (libresca e epistolare). Credo non sia un caso (purtroppo non son ancora riuscito a leggerne uno di questi, ma dovrebbero essere interessanti, sia quando analizzano la passione dall'interno dei film - «Carta pellicola. Scrittori e scritture nel cinema di François Truffaut» - sia quando tracciano un analisi che va direttamente sull'autore-Truffaut - «Truffaut uomo di lettere. Il film come u Truffaut uomo di lettere. Il film come una lettura. Passaggi letterari sullo schermo».
Okay, sono andato molto off post.

Luciano ha detto...

@Noodles. Sui personaggi godardiani ti riporto una frase di Godard tratta da un’intervista di Comolli e altri del 1965. La domanda si riferisce a Pierrot le fou. È un’intervista vecchia e probabilmente oggi Godard risponderebbe in modo diverso:
D. I suoi personaggi si lasciano guidare dagli avvenimenti.
R. Sono abbandonati a se stessi, sono dentro la loro avventura e dentro se stessi.

E in un’intervista di Assouline del 1997 (rapporto tra Godard e i libri):
D. Ma in fin dei conti, che cosa le avrà dato la letteratura?
R. Un modo di pensare più sperimentale. Il cineasta pensa con gli occhi e con le orecchie, il pittore pensa con le mani. La letteratura è un rifugio. Ha approfondito la mia visione del mondo. I libri mi hanno detto cose che gli esseri viventi non mi hanno mai detto. La letteratura ha indagato il mondo […] È questo che le devo, una coscienza morale. Contro la parola dello stato, del governo o del potere, la letteratura è una parola . Non quella dei partiti ma quella degli uomini presi singolarmente. […] I film non producono più quel genere di contatto con il reale.
D. Da quando?
R. Il cinema ha annunciato i campi di concentramento, ricorda La regola del gioco, Il grande dittatore… Però non li ha mostrati. È stata la letteratura a farlo. Il cinema è venuto meno al suo compito, ha fallito la sua missione.
D. E per esprimere la felicità, quale dei due è il più adatto?
R. Oggi il cinema inabissa la gente nell’errore, nella soddisfazione. C’è poco da aspettarsi. La gente non ne ha davvero bisogno. Va al cinema giusto per uscire di casa. Il cinema gli regala una dose di romanzesco senza affaticarli, molto lontano e molto inferiore a quello di Graham Greene.

Un'illuminante risposta di Truffaut in un’intervista di Pierre Billard (Pubblicata su “Cinéma 64” n. 86 maggio 1964):
D. Lei si identifica con i personaggi?
R. Sì, completamente. Scrivendo le scene, le recito, e generalmente questo avviene nelle stanze d’albergo. […] Occuparsi troppo dei personaggi presenta tuttavia un inconveniente, vale a dire che a forza di sfumature si possono ottenere scene deboli. Il dilemma è tutto qui. Il dilemma personaggi-situazioni che Hitchcock ha sempre risolto a favore delle situazioni, potrebbe essere il solo rimprovero da fare ai suoi film; è il solo punto su cui incontra ancora difficoltà. Infatti nei film di Hitchcock la situazione è talmente incalzante, talmente forte che a volte i suoi personaggi non hanno più molta vita. È un dilemma del quale soffro anch’io, anche se in senso opposto. Io spesso mi ritrovo con situazioni un po’ troppo rilassate. […]

[…]

D. In fase di copione di montaggio lei prepara tutto nei minimi particolari o lascia un margine per l’improvvisazione?
R. All’inizio lasciavo un grosso margine, ora il margine è diminuito, perché visualizzo di più . So già che una certa scena mi annoierà, allora la semplifico sulla carta invece di farlo in fase di ripresa. Ho l’impressione che ciò che scrivo somigli sempre più al film.

Bastano queste poche frasi per evidenziare la grande differenza tra questi due grandi protagonisti della Nouvelle Vague. Quindi il differente “approccio” ai personaggi è uno dei molti aspetti che li rende tanto diversi. Per quanto riguarda la letteratura il discorso secondo me è complesso, perché anche Godard prende in seria considerazione la letteratura, anzi in generale la antepone al cinema. Ma probabilmente in fase di realizzazione esce fuori il pittore che è in Godard, mentre in Truffaut esce fuori lo scrittore. Il discorso sarebbe lungo (le semplificazioni conducono sempre a valutazioni imprecise). In generale comunque penso di condividere le tue considerazioni. Purtroppo non possiedo i libri che citi. Il secondo lo conosco (nel senso che me ne ha parlato un amico), mentre non ero a conoscenza dell’esistenza del primo. Ti ringrazio per questa preziosa informazione^^

Noodles ha detto...

Le due interviste sono preziose ed esemplificano bene ciò che stavamo dicendo. Ovviamente non intendevo che Godard non desse importanza ai libri (qualsiasi artista che li rifiutasse non sarebbe tale, la conoscenza libresca è ineliminabile, checché se ne dica, come direbbe totò). Dico solo che traspare meno quando lui gira, ecco. Volontariamente. Dall'intervista a Truffaut sorge un altro degli elementi che me lo fanno amare moltissimo: l'attenzioen ai personaggi, il fatto che ne ripeta le battute mentre le scrive, l'autobiografismo di Antoine... son tutte cose che anche quando mi metto a scribacchiare qualcosa mi "perseguitano".
Però poi il bello dell'arte è che ci possiamo innamorare anche di artisti del tutto opposti (uno dei miei registi preferiti è ovviamente sir Alfred :D e curiosamente anche Truffaut - e la nouvelle vague - lo amava molto).

Luciano ha detto...

@Noodles. Infatti ho riportato volutamente anche la sua affermazione sui personaggi abbandonati per compararla con quella agli antipodi di Truffaut. Poi è ovvio che la Nouvelle Vague significò anche portare il libro sulla scena e Godard e Truffaut (ma Truffaut fu più deciso) sono stati i più attenti a compiere questa "operazione". In effetti ci sono tanti modi differenti di fare cinema e il dilemma personaggi-situazioni ricordato da Truffaut dimostra come sia possibile amare un grande regista anche se "gira" in maniera opposta alla nostra

Monsieur Hulot ha detto...

Penso che il tratto più straordinariamente intenso della Nana di Jean-Luc, sia quell'eterna solitudine ed isolamento in cui vive. Quasi un'entità a parte, più profonda, più sensibile ed emotiva rispetto al burbero e selvaggio uomo. Ma anche rispetto alle altre donne da "marciapiede". Vorrebbe capire capire capire, dare una spiegazione a tutte quelle domande sulla vita,sentirsi SPECIALE. Fà tenerezza, e rabbia, perchè vorrebbe che qualcuno s'accorgesse di quanto splendore ha il suo cuore(d'altronde basterebbe guardarla negli occhi). Ma nessuno lo fà. E quindi lei diventa un fantasma vagante, inconsolabile, abbattuto, il ritratto di una donna abbandonata ed incompresa dall'uomo. La scena al cinema, dove Nana stabilisce un'empatia pazzesca con la Giovanna d'Arco sullo schermo, dice tutto. Visionando quelle immagini diviene subito consapevole del suo destino: entrambe vedono qualcosa che gli altri neanche immaginano, ed il prezzo da pagare sarà l'errare senza sosta,senza meta nè ancore a cui aggrapparsi. Senza PACE...

Splendida la Karina,S.P.L.E.N.D.I.D.A
Uno dei volti più intensi, e sofferti che abbia mai visto.

Luciano ha detto...

@Antoine Doinel. Questa Nanà di Godard è fantastica perché riesce ad esprimere sia il suo corpo che la sua anima non come istanze separate ad ognuna delle quali spetta una nicchia particolare e magari anche affascinante. Per me la bellezza del personaggio risiede nel porgersi come corpo-anima uniti nello stesso destino. Nana è uno splendido essere e come affermi tu acquisisce totale consapevolezza; il volto di Giovanna, gli splendidi primi piani della Falconetti), assorbe e si fonde nel volto-spettatore di Nanà che diventa un'altra Giovanna condannata dal contesto al suo ruolo, mentre il pianto è tutto per la Nanà rappresentata, acquisisce valore attraverso lo sguardo di una Nanà spettatrice condannata a piangere nel silenzio di una sala buia. Ovviamente sono perfettamente d'accordo con il tuo commento. Ti ringrazio per la tua visita e, nonostante un periodo impegnatissimo che mi tiene lontano dal blog, farò il possibile per ricambiare quanto prima. Grazie e a presto!